Al di là dei luoghi
comuni, questa volta occorre parlarne! Mettiamo tutto in chiaro, una
volta per sempre. Sono sicuro che chi è morto non si può offendere.
Come si dice: chi muore giace. Ma non ci giurerei. I dialetti
ed alcune espressioni dialettali, ad esempio, sono la prova provata
dell'esistenza di un aldilà.
Bene. Assodato questo
primo assioma, possiamo andare avanti.
Questo aldilà, quindi,
non è proprio come l'aldiquà, ci sono delle anime ( e non persone
perché altrimenti occuperebbero spazio) che costituiscono una sorta
di tiro al bersaglio, pronti a schivare i vari : mortacci tua, chi
t'è mmuorto, all'anema 'e mammeta, and so on...
Esse sono però, in
quanto anime, liberamente fluttuanti, bersagli mobili,
Diciamo poi che a Roma
c'è una estrema libertà nell'epiteto pro bono animarum. Un
continuo scoccare di frecce maldicenti, con conseguente evitamento da
parte delle anime corrispondenti. Ma quelle dei romani, come tutte le
anime, stupide non sono. L'anima, se è anima, è poco umana, quindi
non può essere sciocca, lei è dotata di una capacità di schivar
offese di molto superiore ai mortali. I mortali, infatti, posso
diventare mortacci, ma non anime, anche da vivi. Essere anima è una
condizione privilegiata. In primo luogo, quindi, io eviterei di considerare offesa l'inveire contro un morto, un vivo o mortaccio
vivo, in modo generico. Senza cioè l'aggiunta del sostantivo anima
(definirla sostantivo è comunque una contraddizione in termini).
Sono nato in una parte
del nostro paese in cui è ancora vivo lo straordinario culto dei
morti (gioco di parole che non è contraddittorio in termini).
A me la
cosa ha sempre fatto impressione. Fino a quando non ho compreso che
il culto non era per i morti ( ...quia pulvis es et in
pulverem reverteris),ma per
le anime di questi. E perché? Perché per quanto una persona possa
essere stata bella e buona (καλὸς καὶ ἀγαθός), un
po' di purgatorio se lo deve sempre fare. L'anima nel purgatorio, lo
dice la parola stessa, si purga, anche perché da questa parte ci si
purga della colpa, ma non della pena. Che tocca comunque scontare,
dopo (non mi chiedete dopo quando?,
perché significa che non avete capito nulla).
Perciò,
nel dubbio dell'efficacia dell'indulgenza, è sempre meglio
premunirsi.
Il
rifrisco all'aneme d' o priatorio
è un avera e propria necessità, non solo per ll'anema
ma anche per chi sta ancora in buona salute. Si tratta di un uno
scambio di favori, sollievo e preghiere ( si noti bene che in
napoletano priatorio
ha la stessa radice di priera,
cioè preghiera), in cambio di grazie e protezione. Non mi dilungo
oltre sull'argomento delle anime purganti, perché è ampiamente (e
meglio) trattato altrove.
Ciò
che m'interessa è dire che, nell'immaginario, nella cultura, nella
lingua, queste anime sono percepite come fin troppo reali e sincretiche. C'è, da
qualche parte, qualcuno che ci protegge, che ci guarda da lassù, con
cui parlare, chiacchierare, contrattare.
I
confini tra la materia vivente e le anime, diventano labili.
Facilmente (e linguisticamente) valicabili.
In
fondo le anime servono. Hanno una loro precisa funzione. I mortacci e
le loro anime sono vivi, il culto pagano del regno dei morti ci fa un
baffo, a noi moderni! Le anime sono indispensabili e sono nostri
punti di riferimento in un universo fatto di finti vivi e di veri
morti.
Le
anime de' li mejo mortacci
sono vive e lottano insieme a noi!
©
2013 Gianfranco Brevetto
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