C'est en écrivant qu'on devient écriveron (Raymond Queneau)

C'est en écrivant qu'on devient écriveron (Raymond Queneau)
"C'est en écrivant qu'on devient écriveron" (Raymond Queneau)

venerdì 6 dicembre 2013

STORIE DI ANIME: 2 - ATTENZIONE CADUTA ANIME!

 
 
 
Si la truove ca stace durmenno
pe’ ‘na fata gue’ nun ‘a piglia’
nu rummore nun fa cu li penne
guè cardì tu l’avissa scetà?
 
(Lo cardillo, anonimo del ‘700)
 
 
L’anima di Platone è complicata. Perciò: chi me l’ha fatto fare di scrivere su questo argomento? Potevo interessarmi di tante cose, invece proprio con l’anima di Platone mi sono andato a immischiare.

Insomma, per Platone quest’anima non nasce, c’è sempre stata ed è pure presuntuosa. Figurarsi che ha le ali. Ora, se le cose stanno così è un discorso che più di tanto non m’interessa. Mi sembra un po’ una stupidaggine. Invece Platone è stato furbo e ci inserito un bel raccontino o, come lo chiamavano gli antichi, un mito. E, a me, il mito mi acchiappa. Quindi cerco di riassumerlo, per come posso.

Quest’anima è come un carro. E fin qui, diciamo che la cosa tiene. Ma poi si complica, l’anima è come un carro trainato da un paio di cavalli alati condotti da un auriga. Ora, sembrerebbe che ‘sti cavalli non sono tutti e due uguali. O meglio, mentre nel carro delle anime divine, i due cavalli sono perfetti, in quello degli altri (l’altro è una sorta di antibiotico a largo spettro, una categoria nella quale, come sappiamo, rientra anche il sottoscritto insieme a pochi privilegiati) uno dei due cavalli è più scarso.

Quando tutto questo marchingegno funziona, e il carro vola bene, va verso l’alto fino a raggiungere un luogo di perfezione, al di sopra del cielo, che alcuni dicono si chiami l’iperuranio. Se il veicolo perde le ali, cade. Il primo corpo che trova se lo prende e l’anima diventa mortale. E, secondo me, è capitato pure a me di essere stato confuso per un campo d’atterraggio.

Insomma, le amine, quelle buone, arrivano in alto e si fanno un giretto, vedono da vicino tutta una serie di cose, apprendono e conoscono perfettamente, per contemplazione. Gli altri, quelli che hanno un’ala monca, non volano bene. Si disturbano l’uno con l’altro e non riescono a vedere nulla dello spettacolo.

Inutile dire che, quelli che vedono tutto in prima fila, avranno un destino sempre migliore, mentre per gli altri, le cose s’incominciano a mettere male. Ma non da subito, si possono fare diversi tentativi e, ogni volta che si sbaglia, si va sempre un po’ peggio. In questo ripetuto cadere io, facendo bene i conti, dovrei essere alla sesta volta, in piena mimesis. E quindi, secondo il signor Platone, in questa condizione, mi allontanerei per ben tre volte dal vero.

A parte queste considerazioni personali. Le anime azzoppate, quelle che non volano bene, hanno una visone parziale e soggettiva. Pensate che s’incarnano in storie mortali e, prima di tornare su, ci vuole un tempo per me impensabile: diecimila anni. Adesso, io sono un tipo ansioso e non ho pazienza nemmeno d’infilare un ago: figuratevi se mi metto ad aspettare dieci millenni!

Un’ultima cosa e poi vi lascio. Questa anima, come dicevo, è composta da tre pezzi: i due cavalli e l’auriga, cioè quello che conduce il carro. Il primo cavallo è quello più spirituale che tende ad andare verso l’alto naturalmente. Il secondo è la parte più sensibile e materiale. Quest’ultimo quadrupede è indisciplinato e tende a cambiare strada.  Scoop finale: secondo voi, a chi ci ha messo, Platone,  a guidare tutto il carroccio? All’Intelletto!

Insomma, a me quest’anima platonesca mi sembra complicata davvero. Però, questo mito, una cosa ci dice di buono: non ce la prendiamo con gli dèì se cadiamo e ci facciamo male!

 

© 2013 Gianfranco Brevetto

 

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