Si la truove ca stace durmenno
pe’ ‘na fata gue’ nun ‘a piglia’
nu rummore nun fa cu li penne
guè cardì tu l’avissa scetà?
(Lo cardillo, anonimo del ‘700)
L’anima di Platone è
complicata. Perciò: chi me l’ha fatto fare di scrivere su questo argomento?
Potevo interessarmi di tante cose, invece proprio con l’anima di Platone mi
sono andato a immischiare.
Insomma, per Platone quest’anima
non nasce, c’è sempre stata ed è pure presuntuosa. Figurarsi che ha le ali.
Ora, se le cose stanno così è un discorso che più di tanto non m’interessa. Mi
sembra un po’ una stupidaggine. Invece Platone è stato furbo e ci inserito un
bel raccontino o, come lo chiamavano gli antichi, un mito. E, a me, il mito mi
acchiappa. Quindi cerco di riassumerlo, per come posso.
Quest’anima è come un
carro. E fin qui, diciamo che la cosa tiene. Ma poi si complica, l’anima è come
un carro trainato da un paio di cavalli alati condotti da un auriga. Ora,
sembrerebbe che ‘sti cavalli non sono tutti e due uguali. O meglio, mentre nel
carro delle anime divine, i due cavalli sono perfetti, in quello degli altri (l’altro è una sorta di antibiotico a
largo spettro, una categoria nella quale, come sappiamo, rientra anche il
sottoscritto insieme a pochi privilegiati) uno dei due cavalli è più scarso.
Quando tutto questo
marchingegno funziona, e il carro vola bene, va verso l’alto fino a raggiungere
un luogo di perfezione, al di sopra del cielo, che alcuni dicono si chiami l’iperuranio.
Se il veicolo perde le ali, cade. Il primo corpo che trova se lo prende e l’anima
diventa mortale. E, secondo me, è capitato pure a me di essere stato confuso
per un campo d’atterraggio.
Insomma, le amine,
quelle buone, arrivano in alto e si fanno un giretto, vedono da vicino tutta
una serie di cose, apprendono e conoscono perfettamente, per contemplazione.
Gli altri, quelli che hanno un’ala monca, non volano bene. Si disturbano l’uno
con l’altro e non riescono a vedere nulla dello spettacolo.
Inutile dire che, quelli
che vedono tutto in prima fila, avranno un destino sempre migliore, mentre per
gli altri, le cose s’incominciano a mettere male. Ma non da subito, si possono
fare diversi tentativi e, ogni volta che si sbaglia, si va sempre un po’
peggio. In questo ripetuto cadere io, facendo bene i conti, dovrei essere alla
sesta volta, in piena mimesis. E quindi, secondo il signor Platone, in questa
condizione, mi allontanerei per ben tre volte dal vero.
A parte queste
considerazioni personali. Le anime azzoppate, quelle che non volano bene, hanno
una visone parziale e soggettiva. Pensate che s’incarnano in storie mortali e,
prima di tornare su, ci vuole un tempo per me impensabile: diecimila anni.
Adesso, io sono un tipo ansioso e non ho pazienza nemmeno d’infilare un ago: figuratevi
se mi metto ad aspettare dieci millenni!
Un’ultima cosa e poi vi
lascio. Questa anima, come dicevo, è composta da tre pezzi: i due cavalli e l’auriga, cioè
quello che conduce il carro. Il primo cavallo è quello più spirituale che tende
ad andare verso l’alto naturalmente. Il secondo è la parte più sensibile e
materiale. Quest’ultimo quadrupede è indisciplinato e tende a cambiare strada. Scoop finale: secondo voi, a chi ci ha messo,
Platone, a guidare tutto il carroccio?
All’Intelletto!
Insomma, a me quest’anima
platonesca mi sembra complicata davvero. Però, questo mito, una cosa ci dice di
buono: non ce la prendiamo con gli dèì se cadiamo e ci facciamo male!
© 2013 Gianfranco
Brevetto
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