C'est en écrivant qu'on devient écriveron (Raymond Queneau)

C'est en écrivant qu'on devient écriveron (Raymond Queneau)
"C'est en écrivant qu'on devient écriveron" (Raymond Queneau)

martedì 28 luglio 2015

Divieto di sosta ai non credenti

  Nel grande e ricchissimo tempio delle divinità, dove la luce colpisce, con infinite sfumature (..e vorrei anche vedere che non fosse così) le statue delle dèe e degli dèi, c’è posto per tutte le esigenze e  - a patto di formulare espressa richiesta con tanto di riverenza e lauta offerta - ogni desiderio viene esaudito.
 Chi ci è stato assicura che la cosa viene fatta in poco – o pochissimo - tempo. Ore, o addirittura minuti. Basta recitare qualche frase a scelta - o anche presa a caso come si fa con i numeri da giocare al lotto - è tutto, più o meno miracolosamente, si compie. Ho sempre avuto grande simpatia per questo tipo di divinità, alle quali si riserva la stessa ipocrita devozione dovuta ai mestieranti della politica (… meglio tenerseli buoni quelli… possono sempre tornare utili…). Una delle caratteristiche di una dea o di un dio è infatti quella di essere utile.
Una dea o un dio inutile appare una contraddizione del sacro, una beffa, uno scherzo di carnevale, una presa per i fondelli (rigorosamente al plurale). Comunque sia, la cera ed i buoni propositi  costano poco (anche se  la questione dell’obbligo di offrire un sacrificio in cambio mi porterebbe a pensare ad un’utilità reciproca). Grande simpatia, ma anche timore rispetto, dicevo. Perché di vendette divine ne è piena la storia degli umani: l’ira anche di un solo dio può costare molto caro. A parte questo, nel grande tempio ci si sente al sicuro. Le dèe e gli dèi sono suddivisi per competenza. Ognuno si occupa di un pezzetto della natura, dei sentimenti, delle beghe umane. Basta cercare e si trova il dio giusto. Il mio amico Pancrazio ha anche lui visitato il tempio, aveva problemi di parcheggio. Abita, infatti, in una grande ed affollata città. Ha trovato il dio del traffico e gli ha offerto un modellino della sua auto in plastica. Quando è tornato a casa ha trovato delle strisce bianche disegnate sull’asfalto. Dentro c’era scritto in caratteri cubitali: “riservato a Pancrazio – divieto di sosta ai non credenti”. Pancrazio era molto soddisfatto di questa concessione divina. La sera, la moglie gli ha dato anche un bacetto sulla guancia, sintomo di un amore che non tramonta mai. Pancrazio era contentissimo della sua avventura e non smetteva più di raccontare tutto quello che aveva fatto e visto nel tempio. Addirittura c’era anche la statua del dio dei piccoli amori. Rappresentava un bellimbusto calvo con i calzini  che gli arrivavano alla caviglia. Aveva anche un tatuaggio tribale sulla natica destra (difficilissimo da riprodurre in marmo..). Era un dio frequentatissimo, folle di donne e uomini, ragazza e ragazzi, venivano a deporre sull’altare, proprio davanti a lui, piccoli ricordi degli amori di qualche giorno o di una settimana, baci rubati, amplessi scomodi e precari, numeri di telefono scritti e cancellati velocemente, abiti risistemati all’istante, dignità miracolosamente riacquistate nel giro di qualche ora. Pancrazio si divertiva molto nel raccontare queste cose. Però divenne, ad un tratto, serio. Gli era venuta in mente l’immagine di una donna che aveva visto avvicinarsi in lacrime a quel dio. Piangeva e si disperava perché si vedeva costretta a sacrificare il suo piccolo amore: non aveva saputo resistere alla critiche delle vicine pettegole, delle amiche benpensanti. Affranta, disgustata, alla fine aveva ceduto. La donna uscendo aveva giurato a se stessa di non rimette più piede in quel luogo. - Ma se l’amava tanto – chiesi io – perché non ha offerto il suo sacrificio al dio dei grandi amori? - Dio dei grandi amori?  Non mi risulta che esista! – sentenziò Pancrazio sospirando.
 © 2015 Gianfranco Brevetto