C'est en écrivant qu'on devient écriveron (Raymond Queneau)

C'est en écrivant qu'on devient écriveron (Raymond Queneau)
"C'est en écrivant qu'on devient écriveron" (Raymond Queneau)

martedì 3 dicembre 2013

PRESEPI




      Cicerenella teneva 'no gallo
Tutta la notte nce jeva a cavallo
   Essa nce jeva po' senza la sella
Chisto è lo gallo de Cicerenella


 
 

Sono nato a Napoli. Sono un napoletano. Non ho    mai pensato di essere di altre parti. Eppure, devo confessarlo, qualche tentazione mi è venuta. Ci ho provato alcune volte. Mi sono immaginato di diverse città. A volte di Praga, poi per due mesi ho pensato di essere di Siviglia e, per un intero anno, non riuscivo a togliermi da mente Tolosa. Ma non ne ho avuto mai il coraggio. Il coraggio di un passo definitivo.

C'è una particolarità che mi ha sempre convinto a non tagliare questo cordone. Si tratta di una precisa necessità proveniente dalle persone che hanno, o hanno avuto, contatti con me: io devo fare il napoletano. Indipendentemente di dove io voglia essere, io mi devo comportare da napoletano. Nonostante siano oramai quasi trent’anni che non ci abito in modo stabile. Ci ritorno. É vero. Ma, credetemi: non è la stessa cosa.

Dunque mi si chiede di essere napoletano, ed io li accontento. Anche se non ricordo bene cosa significhi essere o fare il napoletano. Lo faccio per compiacere e per ricordare a me stesso da dove provengo. Però non sono sicuro che quello da me rappresentato sia un vero e reale napoletano. Molto spesso mi ritrovo, come fanno anche molti napoletani originali, a recitarne la parodia.

Per essere sicuro di fare il napoletano dovrei riprendere contatti seri e duraturi con questa città. Anzi, per fare il me napoletano dovrei avere almeno un confronto. Per esempio, prendere un ipotetico altro me che in tutti questi anni non si sia mai mosso da quella città. Solo così potrei soddisfare che mi sta intorno e soddisfare, soprattutto, me stesso. Rappresentato e rappresentazione coinciderebbero.

Ma così non è. E, in tutti questi anni, ho sempre dovuto, in qualche modo, arrangiarmi. Per fare il napoletano o almeno esserlo credibilmente, mi sono ritrovato ad accentuare tutto quello che ritenevo fossero i caratteri di napoletanità in me presenti (o residui). Con risultati alterni. Anche perché spesso ho dovuto, mio malgrado, difendere quella che io ritenevo essere la napoletanità vera. A cominciare dalla pronuncia del dialetto, per proseguire fino alla consistenza della pasta della pizza, finendo alla preparazione del caffè.

Alla fine, però, mi ci sono abituato. E quando mi chiedono di farlo, lo faccio. Cerco d'immedesimarmi alla meglio nel mio ruolo. Anzi devo dire che, a volte, mi diverto. Infatti faccio passare per napoletani modi e caratteristiche che sono mie personali e che, i napoletani miei contemporanei, si guarderebbero bene dal fare propri.

Ma, a parte tutto questo inutile ragionamento (che a rigor di logica va comunque completato), devo dire che, essendo costretto a fare il napoletano, mi sono sovente confrontato con il presepe. In questo caso, ho interpretato al meglio le mie origini. Come un vero conoscitore. Ho infatti dimostrato infinita confidenzialità con i vari personaggi, con le possibili disposizioni della scena, fino ad immaginare me stesso come personaggio della rappresentazione natalizia. Non un personaggio principale, ma uno che arriva magari da fuori e si trova di fronte quel pò pò di situazione. Avrei sicuranente voluto far parte di quel gruppo di mori introdotti nel presepio napoletano proprio a seguito delle influenze dell'orientalismo. Inutile dire che non mi sarebbe piaciuto avere le mie sembianze attuali, da napoletano apparente, ma quelle di un moro reale.

Sono sicuro che anche lì, nell'atmosfera sacra e stagionale del presepe, qualcuno mi avrebbe chiesto di essere qualcun altro. Magari un re magio, un pastorello, un angelo con la scritta in latino. Vi devo confessare, però, che questa volta mi   opporrei. Se proprio non potessi fare la parte del moro col turbante, opterei, considerata l'eccezionalità della situazione e senza indugio alcuno, per quella di un napoletano. E poi, con rispetto parlando, non sono nato a Betlemme.





© 2013 Gianfranco Brevetto


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