C'est en écrivant qu'on devient écriveron (Raymond Queneau)

C'est en écrivant qu'on devient écriveron (Raymond Queneau)
"C'est en écrivant qu'on devient écriveron" (Raymond Queneau)

lunedì 16 maggio 2016

VADO IN INDIA ALLA RICERCA DI ME STESSO

Ieri sera sono atterrato all’aeroporto di New Delhi. Avevo solo un piccolo zainetto con me,  all’interno ci avevo sistemato una borsa pieghevole, quelle di tela morbida per intenderci. 
Nella gran confusione dell’uscita, ho  subito individuato Barbiche. Mi aspettava seduto alla guida di una vecchia Ape Piaggio.
Barbiche mi ha fatto accomodare nel cassone dove c’era un sedile coperto di alcuni cuscini che ricordavano motivi orientali. Ad un cenno del suo capo, gli ho mostrato il rotolo di rupie che avevo nascosto nella tasca dei pantaloni e siamo partiti. Eravamo al tramonto, almeno mi è parso così, ma non ne sono sicuro. So invece con certezza che devo essermi addormentato e Barbiche deve aver guidato per diverse ore. All’arrivo mi ha chiesto più rupie di quante ne avevamo pattuito nel nostro primo contatto, avvenuto nel mio inglese scadente, tramite un’agenzia di Taiwan che facilita questo tipo di contatti.
Barbiche mi ha scaricato dinnanzi ad un grande parallelepipedo sul quale, a grandi lettere, c’era scritto : India Oneself Company.
- Desidera? Mi ha chiesto all’entrata un ometto del tutto simile a Barbiche.
Io gli ho mostrato un  biglietto, scritto in una grafia incomprensibile, che mi avevano consegnato appena sceso dall’aereo e lui mi ha accompagnato all’interno.
Ho dovuto far ricorso alle mie reminiscenze aristoteliche, per accorgermi  che il parallelepipedo non era altro che un deposito nel quale erano raccolti i me stesso dell’intero genere umano. Conseguentemente fui costretto, nel tentativo di ricercarmi, ad entrare, come in un gioco di scatole cinesi,  in parallelepipedi sempre più piccoli. Su questi era indicati , via via che la classificazione genere-specie diveniva concreta, bianco, europeo, italiano, meridionale, campano, napoletano. Mi  trovai, in ultimo, di fronte ad un’enorme scatola e l’ometto mi fece un segno come per dirmi: cerca lì!
Fu solo in quel momento che mi apparve evidente la complessità di quell’impresa, in primo luogo perché lì dentro, alla rinfusa c’erano oggetti per me insignificanti che dovevano essere dei me stesso di perfetti sconosciuti. In più c’erano anche i me stesso di quelli che non si erano mai cercati, di quelli che non si erano accorti di essersi persi, dei me stesso rifiutati perché difettosi ed anche i duplicati dei me stesso di quelli che lo avevano definitivamente perso e ne avevano richiesto un altro in sostituzione.
La verità è che, in quella bolgia, diventava difficoltosa qualsiasi ricerca.  Infatti, i me stesso, sempre seguendo gli insegnamenti dello stagirita, erano solo materia senza alcuna forma.  Cosi che,  tutti quelli che si erano  miseramente persi, rischiavano di non ritrovarsi più.
Perché non avevo dato ascolto alla mia amica? Perché non aveva seguito l’indicazione scritta sul frontone del tempio di Delfi? Avevo sempre considerato il “conosci te stesso” una pura perdita di tempo.
Come potevo ora, se non mi ero mai conosciuto, riconoscermi in quella massa di materia informe?
Intanto erano arrivate anche altre persone e si sentivano pianti, imprecazioni, urla di gioia, che mi facevano pensare  a tutte le varie e possibili  situazioni che potevano capitare in quel luogo lontanissimo e sperduto del subcontinente indiano.
Era tutto un gran da fare:  cerca, ritrova , prendi, scambia, riporta, perdi, conosci, riconosci, tira e molla, adattarsi ad un me stesso trovato in buono stato o d’occasione, separarsi dai me stesso con i quali non si andava più d’accordo.
E poi c’era il problema dei falsi. Produrre dei me stesso in Cina costa la metà che in Europa. Sono del tutto identici a quelli originali, solo che durano meno. Alla prima crisi occorre sostituirli.
Dopo un’ora di inutili tentativi, decisi di uscire gettando un occhio allo scatolone  dei me stesso appartenenti alle persone morte che non erano riuscite a ritrovarsi in tempo utile. Molti di loro sarebbero stati dati in adozione.
All’uscita ritrovai Barbiche che. Prima di farmi risalire, mi chiese di mostrargli se avevo le rupie sufficienti per pagare il viaggio di ritorno. E così feci..
Vedendomi uscire solo con il mio zainetto e senza altro bagaglio si rese conto di quanto mi era successo. Della mia ricerca infruttuosa.
Una volta all’aeroporto Barbiche accennò ad un saluto solo dopo essersi accertato che tutte le rupie in mio possesso gli fossero state consegnate. A quel punto, stanco ed esausto, trovai il coraggio di prenderlo per un polso e domandargli:
- Secondo lei, esiste davvero un me stesso?
Barbiche mi guardò per un attimo e poi rispose:
- Per noi sono solo cose per turisti.

© 2016 Gianfranco Brevetto