C'est en écrivant qu'on devient écriveron (Raymond Queneau)

C'est en écrivant qu'on devient écriveron (Raymond Queneau)
"C'est en écrivant qu'on devient écriveron" (Raymond Queneau)

lunedì 14 dicembre 2015

LA CARTA DA PARATI POTREBBE DISTURBARE

Mariella ha un figlio che va alle elementari. Un bravo bimbo si direbbe e lo dice anche lei. Ma non ad alta voce, non se ne vanta.
Anzi, quando all’uscita della scuola si formano i crocchi di mamme in trepida attesa (e in evidente difficoltà di’impegnare il tempo) , lei saluta, ascolta i discorsi sui figli altrui, prende per mano Marco, risaluta e se ne va.
- La mia Rebecca ha fatto il saggio di danza, ero in prima fila: che emozione!
- Il mio Giorgio, è stato selezionato per la scuola di calcio, una vera soddisfazione per il papà. Noi siamo abbonati a tutti i canali di calcio e non perde una partita. Fino a tarda notte.
- La mia piccola Jessica ha ammutolito tutti: ha fatto delle frittelle con la panna senza lievito e con il grano biologico. Fritte con l’olio senza olio. Ottime!
- Mirko, ha sei anni ed il papà gli ha fatto già provare una moto per nani, è arrivato secondo ma solo perché il primo era raccomandato. Lo zio è un idraulico ed il motore glielo ha preparato lui. Ha unito alla benzina uno speciale additivo di sua invenzione. La formula la conosce solo lui perché è stato un mese a Modena ad aggiustare la lavatrice al dott. Filippo Zarri, dell’omonima farmacia.
- Mia figlia Marzia studia canto
-inglese-jazz in modalità offline, ha un insegnante svedese che è stata per tanto tempo in India. La svedese ha una voce bellissima perche mangia riso del Tibet. Credo che sia la milionesima reincarnazione della dea della pesca a strascico nel fiume Gange.  Marzia ha deciso di non nutrirsi più di foglie di sambuco ad uso veterinario, le provocano i brufoli.
- Mio marito, un bell’uomo che me lo invidiano tutte, è appena tornato da una cena aziendale. Ha detto che un suo amico - ché lui sì che sa le cose -  non usa più la cintura dei pantaloni perché è favorevole alle bretelle.
Che questo ultimo discorso non c’entri niente, è evidente. E’ solo uno sfogo da parte della mamma di Rachele. La bimba è campionessa italiana di salto coi pattini uniti. Rachele va ogni sera a letto alle otto e sedici minuti e si sveglia ogni mattina alle sette e trentuno.  La mamma le prepara una fetta biscottata più un quarto di fetta di pane di segale con il lievito madre. Ricopre entrambi le fette con marmellata vegana di fiori di zucca: glielo ha prescritto l’allenatore di pattini uniti, che è un croato naturalizzato cinese.
Quest’anno, a scuola di Marco, hanno organizzato la recita di Natale. Marco deve andarci perché gli piace stare un pomeriggio in libertà con i suoi amici.
Mariella sa cosa l’aspetta.
Le maestre hanno deciso che la divisa per la recita di quest’anno sarà scarpe rosse, maglione verde acqua, pantaloni alla zuava color caco e cappello viola con righine rosse e amaranto.
- E che i colori siano quelli! Ha precisato la maestra.
Mariella ha riflettuto a lungo se dipendesse da lei il fatto che nessuno di quei capi e nessuno di quei colori fosse nel guardaroba di Marco. Ma, siccome gli altri genitori hanno detto che glieli avrebbero fatti su misura le nonne (con le proprie sante mani) o glieli avrebbero regalati le zie ( odiose cognate alle quali rivolgono la parola con compiacente falsità) si è decisa a comprare tutto, ben sapendo che le userà una sola volta e che Marco si rifiuterà di utilizzarli in altre occasioni.
Marco è in quarta elementare, i personaggi a lui affidati in occasione delle recite, nel corso degli anni,  sono stati quello di un ramo di albero, di una sedia, di un quadro e, dulcis in fundo, di carta da parati sulla quale sono disegnati grossi fiori gialli.
Marzia farà la principessa e Mirco il principe, perché dice la maestra che sono spigliati  ed hanno  buona memoria. La loro voce è cristallina e fanno anche le mossette col viso e con gli occhi.
- Che bravi! Che belli ! Dicono sempre tutti alla fine.
Il giorno fatidico è arrivato. Genitori emozionati e nervosi. Bimbi nervosi e stanchi.
Marco sta lì fermo perché la carta da parati non si può muovere. Così gli hanno detto.
Rischierebbe di rovinare tutto. Marzia non gli rivolgerebbe più la parola.

© 2015 – Gianfranco Brevetto

giovedì 3 dicembre 2015

TRE AVVOCATI, DUE BANCARI E LE LORO CINQUE MOGLI


Ho un mio amico avvocato, Vladimiro. Lui è entusiasta di aver fatto i suoi studi ed essersi abilitato alla professione. In alcuni periodi mangia molto, in altri poco, lui dice che alla fidanzata piace a volte atletico a volte con le maniglie dell’amore.
La fidanzata, Ambrosia Adelma detta Ciccicicci, ha fatto gli studi classici ed ama molto dipingere barche a vela. Anche lei mangia molto in alcuni periodi, mentre in altri fa la dieta. I due però ingrassano e dimagriscono con un andamento opposto. Cosicché, quando Ciccicicci è ingrassata, Vladimiro appare in piena forma e viceversa.
Il risultato è che, nelle foto, non appaiono mai tutt’e due magri o tutt’e due snelli. Tranne in un quel particolare momento in cui lui è a metà del dimagrimento e lei a metà della fase di ingrassamento. Ma di foto ne fanno poche perché lei dice che viene male e a lui non piace essere taggato su facebook.
Devo aggiungere che, l’avvocato Vladimiro, non ha un nomignolo come Ambrosia Adelma, perché lui è avvocato e teme che, Ambrosia Adelma, possa importunarlo e ridicolizzarlo quando lui è nel suo studio con i clienti.
A Vladimiro piace giocare a calcetto con gli altri colleghi, ma lo fa solo nel periodo dell’anno in cui è magro. Ad Ambrosia Adelma piace molto comprare scarpe e vestiti, e li compra sia quando e magra che quando è grassa, conservando tutto in due armadi distinti.
Non escono mai insieme perché lui è avvocato, ma se avesse lavorato in banca sarebbe stato uguale, e lei approfitta per uscire con le sue quattro amiche, sempre le stesse: Maria Filippa, Ambra Sole, Teresa Angelica, Mirabile Amabile Luce Aurora.
Il marito di Maria Filippa è avvocato collega di studio di Valdimiro. E’ taciturno, guarda in tv le partite di calcio del campionato dello Zaire, ha vomitato una sola volta nella vita e se ne vanta.
Quello di Teresa Angelica lavora in banca, ha molto da fare ed è meglio non disturbarlo. Ha lo sguardo fisso, arriva a casa e non saluta, si siede per cenare e rimane lì fino alle undici e trenta di sera, quando la cena è terminata da un pezzo. Ha due figli e confonde i loro nomi, i pargoli ormai non ci fanno più caso.
Ambra Sole ha sposato anche lei un avvocato di venticinque anni più vecchio. Lui va solo alle udienze più importanti, trascorre notti e giorni nel suo studio a preparare memorie e ricorsi. Ha un’unghia incarnita e beve solo acqua piovana dopo averla bollita.
Mirabile Amabile Luce Aurora, ha quattro nomi e, di conseguenza, ha avuto diritto a due mariti. Il primo era un avvocato scomparso in circostanze misteriose durante una battuta di caccia. Non si è mai saputo che fine avesse fatto, alcuni dicono che sia fuggito altri lo danno per morto, caduto in chissà quale burrone. Dichiarato morto dopo un decennio di vane ricerche, ha lasciato la sede matrimoniale ufficialmente vacante. Per questo motivo, Mirabile Amabile Luce Aurora ha potuto sposare l’attuale marito col quale già conviveva da circa nove anni e mezzo.
Si tratta di un bancario della Cassa di Risparmio dell’Alta, Media, Bassa Valle e del Bosco Vicino. Stressato per il troppo lavoro, beve una bottiglia di amaro fatto in casa ogni due giorni. Sostiene che, l’amaro fatto dalla nonna, abbia proprietà miracolose: gli alleggerisce un peso che da anni ha sullo stomaco. Ha fatto tutte le analisi, comprese quelle che costano di più, ma sembra sano come un pesce. E’ andato da un psichiatra che gli ha prescritto un elettroencefalogramma durante le ore d’ ufficio. Ma lui la rifiutato per paura di essere licenziato. Si guarda spesso alla specchio perché ha paura di restare calvo.
Mirabile Amabile Luce Aurora non ha rapporti sessuali con nessuno dalla scomparsa del primo marito e tantomeno con i bancario. Ma anche con il primo marito  non aveva avuto rapporti intimi sin dal giorno del loro matrimonio.
Per completezza di cronaca le altre coppie hanno un solo rapporto sessuale al mese. Lo fanno perché hanno letto sul giornale che è la media dei rapporti nelle coppie felici. E loro ci tengono ad essere considerati normali e felici.
Le mogli, di comune accordo, indossano biancheria intima leopardata per ricordare ai mariti l’appuntamento mensile. Fingono orgasmi mentre i mariti fingono l’unica ed ultima defaillance della loro vita.
Tutti sembrano impegnati seriamente nella loro esistenza. Infatti, i cinque quinti pagano le utenze domestiche, i tre quinti hanno estinto il mutuo dell’acquisto della casa. I due quinti pensano di comprare una seconda casa al mare, un quinto ha la barca, i quattro quinti visitano i ristoranti alla moda.
Nessuno ha domande da porre e credo che mai le porrà.

© 2015 Gianfranco Brevetto


martedì 28 luglio 2015

Divieto di sosta ai non credenti

  Nel grande e ricchissimo tempio delle divinità, dove la luce colpisce, con infinite sfumature (..e vorrei anche vedere che non fosse così) le statue delle dèe e degli dèi, c’è posto per tutte le esigenze e  - a patto di formulare espressa richiesta con tanto di riverenza e lauta offerta - ogni desiderio viene esaudito.
 Chi ci è stato assicura che la cosa viene fatta in poco – o pochissimo - tempo. Ore, o addirittura minuti. Basta recitare qualche frase a scelta - o anche presa a caso come si fa con i numeri da giocare al lotto - è tutto, più o meno miracolosamente, si compie. Ho sempre avuto grande simpatia per questo tipo di divinità, alle quali si riserva la stessa ipocrita devozione dovuta ai mestieranti della politica (… meglio tenerseli buoni quelli… possono sempre tornare utili…). Una delle caratteristiche di una dea o di un dio è infatti quella di essere utile.
Una dea o un dio inutile appare una contraddizione del sacro, una beffa, uno scherzo di carnevale, una presa per i fondelli (rigorosamente al plurale). Comunque sia, la cera ed i buoni propositi  costano poco (anche se  la questione dell’obbligo di offrire un sacrificio in cambio mi porterebbe a pensare ad un’utilità reciproca). Grande simpatia, ma anche timore rispetto, dicevo. Perché di vendette divine ne è piena la storia degli umani: l’ira anche di un solo dio può costare molto caro. A parte questo, nel grande tempio ci si sente al sicuro. Le dèe e gli dèi sono suddivisi per competenza. Ognuno si occupa di un pezzetto della natura, dei sentimenti, delle beghe umane. Basta cercare e si trova il dio giusto. Il mio amico Pancrazio ha anche lui visitato il tempio, aveva problemi di parcheggio. Abita, infatti, in una grande ed affollata città. Ha trovato il dio del traffico e gli ha offerto un modellino della sua auto in plastica. Quando è tornato a casa ha trovato delle strisce bianche disegnate sull’asfalto. Dentro c’era scritto in caratteri cubitali: “riservato a Pancrazio – divieto di sosta ai non credenti”. Pancrazio era molto soddisfatto di questa concessione divina. La sera, la moglie gli ha dato anche un bacetto sulla guancia, sintomo di un amore che non tramonta mai. Pancrazio era contentissimo della sua avventura e non smetteva più di raccontare tutto quello che aveva fatto e visto nel tempio. Addirittura c’era anche la statua del dio dei piccoli amori. Rappresentava un bellimbusto calvo con i calzini  che gli arrivavano alla caviglia. Aveva anche un tatuaggio tribale sulla natica destra (difficilissimo da riprodurre in marmo..). Era un dio frequentatissimo, folle di donne e uomini, ragazza e ragazzi, venivano a deporre sull’altare, proprio davanti a lui, piccoli ricordi degli amori di qualche giorno o di una settimana, baci rubati, amplessi scomodi e precari, numeri di telefono scritti e cancellati velocemente, abiti risistemati all’istante, dignità miracolosamente riacquistate nel giro di qualche ora. Pancrazio si divertiva molto nel raccontare queste cose. Però divenne, ad un tratto, serio. Gli era venuta in mente l’immagine di una donna che aveva visto avvicinarsi in lacrime a quel dio. Piangeva e si disperava perché si vedeva costretta a sacrificare il suo piccolo amore: non aveva saputo resistere alla critiche delle vicine pettegole, delle amiche benpensanti. Affranta, disgustata, alla fine aveva ceduto. La donna uscendo aveva giurato a se stessa di non rimette più piede in quel luogo. - Ma se l’amava tanto – chiesi io – perché non ha offerto il suo sacrificio al dio dei grandi amori? - Dio dei grandi amori?  Non mi risulta che esista! – sentenziò Pancrazio sospirando.
 © 2015 Gianfranco Brevetto  

domenica 15 marzo 2015

NOMINA SUNT OMINA

















Mi sono sempre chiamato col mio nome. E questo è successo, più o meno, dal giorno in cui sono nato. Qualcuno, ma molto probabilmente è stato mio padre, sarà andato a declinarlo in qualche cartaceo e sonnolento ufficio d’anagrafe.
Da quel giorno il mio nome è stato quello. Punto.
Tengo a precisare, da subito, che non rivelerò nelle prossime righe né il mio nome, né la data e tantomeno il luogo di nascita. In verità, sono una persona molto riservata e gelosa di tutto ciò che mi appartiene. Per questo, tutti quelli che fossero interessati a questi dati possono interrompere qui la lettura. Non mi offendo.
Sono altre, e ben più importanti, le cose che dovete sapere.
Oggi ero al mercato. Di solito non ci vado mai, soprattutto al mattino. Una signora che conoscevo da molti anni si è avvicinata a me con un gran sorriso e mi ha detto:
-         Buongiorno Mario! come te la passi?

-         Buongiorno! Ho risposto senza pensarci su.

Subito dopo ho realizzato che, però, quello non era il mio nome e che la signora si era confusa. Forse l’età. Abbiamo comunque chiacchierato per qualche minuto e sono andato via fingendo di non aver fatto caso al lapsus.
Nel pomeriggio sono passato in ufficio, cosa che faccio sempre più svogliatamene e la mia segretaria (che era tutta presa dal rispondere ad alcuni messaggi sul suo smartphone) mi ha accolto distrattamente recitando:
-         Buonasera dottor Luigi!
-         Buonasera signorina!
Sono passato oltre e mi sono rinchiuso nella mia stanzetta, annunziando la mia assenza per chiunque avesse chiesto di me.
Luigi non è il mio nome e nemmeno quello degli altri impiegati dell’ufficio.
Quella clausura è durata circa un’ora, poi sono uscito. Nonostante fossero già le quattro del pomeriggio ho deciso di prendere un caffè. Inutile dire che il barista, che mi conosce da dieci anni, mi ha chiamato Michele. Ho dato la colpa al momentaneo affollamento del locale.
Successivamente sono passato in libreria, dal barbiere, al supermercato, da un apicultore, una negromante, un collezionista di bulloni per auto, un agrimensore, un dattilografo in cassa integrazione, un elettricista-idraulico, un motorista in pensione, una casalinga che mi abbraccia ogni volta che mi vede, un insegnante di latino che ha tentato tre volte il suicidio senza mai riuscirci, un ex pilota depresso che invece  ci stava riuscendo ma lo hanno salvato in extremis, un glottologo col quale ho un rapporto di fiducia, un autoferrotranviere.
Tutte persone che conosco, e mi conoscono, alla perfezione.
Ebbene, ho le lacrime agli occhi. Vi riporto solo i nomi con i quali mi sono sentito chiamare e lascio a voi ogni commento: Giorgio, Vincenzo, Marco, Mirko, Antonio, Alfio, Wilfredo, Ambrogio, Temiko (mai sentito e non credo che esista), Archelao, Tino, Silverio, Silvestro, Saverio, Ubaldo.
Per tutti ho avuto la stessa identica reazione, cioè nessuna.
Rientrando a casa, stasera, i miei figli hanno deciso di chiamarmi zio. Il fatto, che dall’inizio mi sembrava uno scherzo, adesso che sono disteso nel mio letto inizia a preoccuparmi. Insospettirmi. Ma oggi è stata una giornata pesante. Indagherò domani.


© 2015 Gianfranco Brevetto