C'est en écrivant qu'on devient écriveron (Raymond Queneau)

C'est en écrivant qu'on devient écriveron (Raymond Queneau)
"C'est en écrivant qu'on devient écriveron" (Raymond Queneau)

sabato 19 ottobre 2013

RELAZIONI SOVRAFFOLLATE



 
 

Alcuni anni or sono,  ebbi l’onore d’intervenire nel corso di un importante consesso scientifico dedicato alla spinosa questione del perché solo la confettura d’arancia potesse fregiarsi dell’appellativo di marmellata.

In verità, l’invito che ricevetti qualche giorno prima, recitava in modo diverso. Si parlava di anomia speculare - questione altrettanto spinosa quanto inusuale - e sulla quale avevo cercato di prendere appunti per cercare d'intervenire in modo degno.

Ebbi la sensazione, lo confesso, che avessero confuso il mio nome con quello di qualche altro luminare dedito all’argomento agroalimentare. Non mi persi d’animo e quel giorno me ne stavo seduto al tavolo dei relatori, insieme ad altri sconosciuti. Tutti con una bella targhetta davanti con il nome scritto sopra.

Allora ero giovane e non potevo prevederne le conseguenze, ma il mio intervento fu, ora posso confessarlo, tra l’anomia del fiore d’arancio e la marmellata allo specchio.

Insomma, approfittando di un pubblico distratto, me la cavai agevolmente meritando anche qualche stentato applauso finale. Tanto quello, in certe occasioni, non si nega a nessuno.

Verso la fine dell’evento, che durò, compreso la pausa per il rinfresco, circa tre ore, me ne stavo seduto, guardando il pubblico numeroso e felicitandomi per lo scampato pericolo. Ce l’avevo fatta, ancora una volta, ad intervenire su questioni nelle quali mi ritenevo un perfetto ignorante e che mi lasciavano nella più completa indifferenza.

Quando sembrava che il tutto stesse terminando, si alzò un ragazzo di circa una ventina d’anni che, indicandomi col dito, mi chiese:

- L’ho ascoltata molto attentamente e devo dire che il suo ragionamento mi ha particolarmente toccato, In proposito vorrei chiederle: secondo lei qual è il numero perfetto per formare una coppia?

Sentivo lo sguardo di tutti sopra di me, io finsi di appuntarmi la domanda del ragazzo, su di un foglio che avevo lì d’innanzi. Guardai due volte il soffitto e mi schiarì la voce.

- Gentile amico, se le dovessi rispondere con la stessa logica che contraddistingue questo incontro, le direi che di coppie ce ne sono solo con due persone. Ma, guardandomi intorno, le posso dire che al giorno d’oggi, la coppia ideale non può fare a meno di corredarsi di una coppia di amanti, che sia speculare alla coppia stessa. Un duplicato che li rappresenta. Che fa le loro veci. Perché, caro giovanotto, l’assenza di regole – dissi scrutando i miei appunti – non esiste, ma produce altre regole. La gente dice di amarsi, ma si ama tramite l’amante, che è un sostantivo ed anche un participio presente. E se è presente vuol dire che compie l’atto, che c’è e non può mancare. Mi dica una cosa. Come chiamiamo la persona che amiamo…il mio…

-         Il mio amato!

-         Appunto, participio passato!

Gli applausi partirono spontaneamente.

Da quel giorno, la gente ebbe chiara in mente anche la questione della marmellata e della confettura.

 

© 2013 Gianfranco Brevetto


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