C'est en écrivant qu'on devient écriveron (Raymond Queneau)

C'est en écrivant qu'on devient écriveron (Raymond Queneau)
"C'est en écrivant qu'on devient écriveron" (Raymond Queneau)

giovedì 10 ottobre 2013

IL GIORNO IN CUI LA MIA SCARPA COMINCIO' A SCRICCHIOLARE




Non ricordo tante cose di me. Né desidero farlo. Non ho agende e consulto il calendario solo quando è necessario. Diffido delle persone che prendono impegni da qui a qualche mese. Quei pochi appuntamenti che ho li ricordo a mente, e quelli che non ricordo e come se non fossero mai esistiti. L’averli dimenticati è indice della loro importanza.

Ma di tutte le date importanti, compleanni, ricorrenze, celebrazioni, ricordo solo un giorno, uno in particolare. Per quanto possa sembrare strano, è solo quel giorno che mi ha colpito, che ho ritenuto importante non perdere di vista. Dicevo, non mi era mai successo, i giorni belli o brutti ritenevo che facessero parte del passato, verso il quale, per scelta personale, non mi sono mai voltato.

Tempo prima avevo comprato al mercato delle scarpe. Alcuni oggetti ci ispirano simpatia da subito, quasi ci fossero appartenuti da sempre a noi e mai vorremmo lasciarli. Mentre per altri è diverso. Li sentiamo estranei. Anche se belli li abbandoniamo, con una scusa qualsiasi, da qualche parte. Ripromettendoci, sempre, di riprenderli in secondo momento. Ma, questo è il mistero, anche se l’istinto ce lo consiglia, non li buttiamo via mai.

Di quelle scarpe mi ero innamorato a prima vista. Mi piacevano. Le avevo da subito indossate ed erano divenute le mie preferite. Anzi ne avevo anche scoperto qualità impreviste, sulle quali non mi dilungo. Insomma tutto trascorreva per il meglio, ed anzi continuamente le controllavo temendo, con orrore, di scoprire qualche cedimento nella suola o nella tomaia. Ma, quelle scarpe, sembravano possedere una resistenza fuori del normale.

Improvvisamente il 28 ottobre alle ore 15,15, nell’atto di rientrare in casa, mi sembrò che la suola della scarpa sinistra, nell’istante di toccare il pavimento, una volta superata la soglia, emettesse come un piccolo cigolio, più che un cigolio una sorta di stridio, come un criiiii. La cosa mi sembrò impossibile. Continuai a camminare in casa e quel criii  piano piano divenne un cre cre, poi un cra e quindi cre cra. Al passo felpato del destro corrispondeva il cre cra del sinistro. Mi fermai, respirai profondamente. Detti la colpa al pavimento, quindi tornai in strada dove il cre cra persisteva attutito dai rumori di fondo.

Camminai a lungo, ma non riuscivo a distogliere il pensiero da rumore della suola, cre cra, cre cra, cre cra… Allora entrai in un bar per ordinare un caffè, cre cra cre cra.. Telefonai ad un amico, cre cra cre cra cre cra… Tornai a casa, mi tolsi le scarpe e guardai a lungo la suola ancora perfetta. M’infilai delle antipaticissime pantofole, in un’odiosa padella mi riscaldai la cena. La mangiai con una coppia di posate che mi avevano regalato e che avevo, più volte, pensato di lasciar andare nell’immondizia  alla prima occasione. Mi addormentai in quelle lenzuola color rosa pallido: ci avevo dormito con una donna insopportabile che, fortunatamente, non avevo più rivisto.

Era il 28 ottobre alle ore 23,00.

Prima di addormentarmi, ripensai alle mie scarpe. Quelle amate, senza bisogno di contare il tempo.

Mi avevano reso felice in un mondo imperfetto.

Comprai un’agenda. A malincuore.

 

© 2013 Gianfranco Brevetto

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