C'est en écrivant qu'on devient écriveron (Raymond Queneau)

C'est en écrivant qu'on devient écriveron (Raymond Queneau)
"C'est en écrivant qu'on devient écriveron" (Raymond Queneau)

martedì 15 novembre 2016

A NOI BASTA IL NOSTRO TEMPO

Evidentemente oggi è una giornata molto particolare.
Ho telefonato al mio amico Forlimpo Filippo, di anni 52, attualmente in cerca di prima occupazione,  per chiedergli come stava. Non mi ha lasciato nemmeno finire la domanda e mi ha detto che aveva molto da fare: era un periodo di tanti impegni da non lasciargli nemmeno un minuto di riposo. Mi ha parlato per circa un’ora delle tante cose che doveva o avrebbe dovuto fare, improrogabili quanto indefinite. Abbiamo poi interrotto  la telefonata perché aveva, nemmeno a dirlo, da fare.
Ho telefonato quindi a Mascarano Terenzia, di anni 42, nota per aver più volte disturbato la quiete pubblica per la sua risata incontenibile. Forse era il suo compleanno. Mi ha risposto la figlia e mi ha detto che la madre era , in quel momento, occupata e che avrebbe avuto impegni per tutta la giornata. Ho deciso di uscire, per fare due passi e godermi la bella stagione.
In ascensore ho incontrato una persona anziana, il signor Morotti Aldo, classe 1926, ex alpino. Il signor Morotti Aldo, di fu Milziade e fu Vittoria Contapassi, era da qualche anno pensionato e, apparentemente, a riposo. Si è innervosito perché l’ascensore ci metteva troppo tempo a scendere dal secondo piano, mi ha detto che sarebbe dovuto andare alla posta, poi alla banca, poi al comune, poi allo sportello invalidi, poi all’inaugurazione di un negozio di pianoforti, poi a scuola di suo nipote, poi al supermercato, poi in palestra per fare la ginnastica dolce per rilassarsi. Non si è potuto intrattenere nemmeno un secondo in più (gli avevo proposto un caffè al bar sottocasa)  perché aveva da fare assai.
Ho incrociato in strada, De Marcellis Paride, mio ex compagno di scuola, invecchiato prematuramente a causa di un matrimonio finito per cause ancora da accertare e, a lui, ignote. In un primo momento ha finto di non riconoscermi, poi si è fermato indicandomi la sua auto in sosta e, mentre freneticamente muoveva l’indice verso un berlina color caco che doveva essere la sua, mi diceva che doveva andare con urgenza a prendere uno zio che si era sentito male mentre andava dal dentista e che, mentre sveniva, gli avevano rubato il portafogli. Lo stesso portafogli che aveva recuperato durante l’incendio di una cantina di un suo amico. Mi ha detto, inoltre,  che era arrivato due volte ultimo alla maratona di Zanzovecchio, dove lui non aveva potuto partecipare a causa di un’unghia incarnita. A causa di tutto ciò, mi ha soggiunto mentre fuggiva via, che quest’anno sarebbe andato in montagna solo per qualche giorno perché amava il sushi.  De Marcellis Paride era noto a scuola per il suo impegno politico e per aver perso due volte il cappello durante le gite scolastiche.
Sono entrato in un alimentari e ho chiesto al commesso dove potessi trovare del pane carré. Mi ha detto di cercare dal quella parte perché lui aveva da fare. Anzi mi ha detto anche di scostarmi: doveva passare e  intralciavo. Ho atteso che si liberasse per poter chiedere anche delle alici sotto sale ma, dopo tre quarti d’ora, sono andato via.
Tornando a casa, sono passato dal medico curante. Il dottor Lo Fosco Ubaldo (che secondo lui si pronuncia Ùbaldo, perché la mamma era originaria delle Isole Comore), di anni 38, è proprietario di una barca a vela sulla quale ospita, a dire dei suoi pazienti (me escluso), donne di facili costumi. Essendo, in quel momento, il dottor Lo Fosco  molto occupato, ho cercato di prendere un appuntamento tramite la sua segretaria. La detta segretaria è la signorina Vela Linda, di anni 25, abbronzata, fa come secondo lavoro la portatrice di tatuaggi sulle natiche. La segretaria non mi neanche degnato di uno sguardo e, mentre parlava concitatamente al telefono, mi ha detto di ripassare all’inizio del prossimo anno.
Saverio è un mio amico, è venuto stasera a trovarmi e mi ha chiesto: come stai? Gli ho detto che non lo sapevo. Saverio è un  filosofo in pensione e, da qualche anno, si rifiuta anche di pensare. Abbiamo bevuto una tisana.
Prima di andare via, mi ha detto di aver letto da qualche parte che le cose da fare a questo mondo, da qualche anno, erano di molto aumentate. In più, chi nasceva ora si trovava sulle spalle anche il carico delle cose da fare che aveva lasciato chi era, nel frattempo, morto senza poterle portare a termine. Saverio mi raccontava, a sostegno di questa tesi,  di un suo nipote di 8 anni che aveva ancora da accompagnare la nonna a scuola e che si trovava in difficoltà perché la nonna era morta e la scuola era chiusa da venti anni. Saverio, tra l’altro, doveva ancora andare a comprare delle scarpe numero 46, lui portava il 43 ma le scarpe le avrebbe dovute acquistare il suocero quando, affaticato e impegnatissimo com’era, lasciò questo mondo all’età di 97 anni.  
E di molti altri impegni inevasi Saverio mi raccontò, fino a che il sonno non ci appesantì gli occhi. Guardai Saverio, mi guardò anche lui. Ci demmo appuntamento per l’indomani. Avremmo fatto  due passi e poi chissà dove saremmo andati a chiacchierare.
A noi basta il nostro tempo.

©Gianfranco Brevetto 2016


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