Mi sono sempre chiamato col mio nome. E questo è successo, più o meno, dal giorno in cui sono nato. Qualcuno, ma molto probabilmente è stato mio padre, sarà andato a declinarlo in qualche cartaceo e sonnolento ufficio d’anagrafe.
Da quel giorno il mio nome è stato quello. Punto.
Tengo a precisare, da subito, che non rivelerò nelle
prossime righe né il mio nome, né la data e tantomeno il luogo di nascita. In verità,
sono una persona molto riservata e gelosa di tutto ciò che mi appartiene. Per questo,
tutti quelli che fossero interessati a questi dati possono interrompere qui la
lettura. Non mi offendo.
Sono altre, e ben più importanti, le cose che dovete
sapere.
Oggi ero al mercato. Di solito non ci vado mai, soprattutto
al mattino. Una signora che conoscevo da molti anni si è avvicinata a me con un
gran sorriso e mi ha detto:
-
Buongiorno
Mario! come te la passi?
-
Buongiorno!
Ho risposto senza pensarci su.
Subito dopo
ho realizzato che, però, quello non era il mio nome e che la signora si era
confusa. Forse l’età. Abbiamo comunque chiacchierato per qualche minuto e sono
andato via fingendo di non aver fatto caso al lapsus.
Nel pomeriggio sono passato in ufficio, cosa che
faccio sempre più svogliatamene e la mia segretaria (che era tutta presa dal rispondere
ad alcuni messaggi sul suo smartphone) mi ha accolto distrattamente recitando:
-
Buonasera
dottor Luigi!
-
Buonasera
signorina!
Sono passato oltre e mi sono rinchiuso nella mia
stanzetta, annunziando la mia assenza per chiunque avesse chiesto di me.
Luigi non è il mio nome e nemmeno quello degli altri
impiegati dell’ufficio.
Quella clausura è durata circa un’ora, poi sono
uscito. Nonostante fossero già le quattro del pomeriggio ho deciso di prendere
un caffè. Inutile dire che il barista, che mi conosce da dieci anni, mi ha
chiamato Michele. Ho dato la colpa al momentaneo affollamento del locale.
Successivamente sono passato in libreria, dal barbiere,
al supermercato, da un apicultore, una negromante, un collezionista di bulloni
per auto, un agrimensore, un dattilografo in cassa integrazione, un
elettricista-idraulico, un motorista in pensione, una casalinga che mi
abbraccia ogni volta che mi vede, un insegnante di latino che ha tentato tre
volte il suicidio senza mai riuscirci, un ex pilota depresso che invece ci stava riuscendo ma lo hanno salvato in
extremis, un glottologo col quale ho un rapporto di fiducia, un autoferrotranviere.
Tutte persone che conosco, e mi conoscono, alla perfezione.
Ebbene, ho le lacrime agli occhi. Vi riporto solo i
nomi con i quali mi sono sentito chiamare e lascio a voi ogni commento: Giorgio,
Vincenzo, Marco, Mirko, Antonio, Alfio, Wilfredo, Ambrogio, Temiko (mai sentito
e non credo che esista), Archelao, Tino, Silverio, Silvestro, Saverio, Ubaldo.
Per tutti ho avuto la stessa identica reazione, cioè
nessuna.
Rientrando a casa, stasera, i miei figli hanno deciso
di chiamarmi zio. Il fatto, che dall’inizio mi sembrava uno scherzo, adesso che
sono disteso nel mio letto inizia a preoccuparmi. Insospettirmi. Ma oggi è
stata una giornata pesante. Indagherò domani.
© 2015 Gianfranco Brevetto
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