Sono un giovane
oculista. In verità mi sono laureato già da qualche anno, ma è da poco che
esercito realmente la professione. Ho dovuto attendere che morisse zio Peppino,
anche lui oculista, per poterne ereditare studio e clienti.
Diciamo che di clienti,
in questo passaggio, ne ho perso qualcheduno. Non si fidano molto di me e poi
dicono che mio zio aveva esperienza. Insomma, era tutta un’altra cosa. Però
alcuni mi sono rimasti, i pazienti sono abitudinari, non hanno voglia di
cambiare. Poco importa se al posto di Peppino ci sia io. L’importante è che li
visiti e che non dica cose molto esagerate. I pazienti vogliono sentirsi
ammalati quel poco che basta. Personalmente credo che molti siano interessati a
cronicizzare i malanni, convivere con loro, farseli amici. Non conviene né
peggiorare né guarire. Meglio lamentarsi poco e spesso.
Tra i clienti che non
hanno abbandonato lo studio vi è una coppia di sposi. Mi hanno detto che sono
sposati da tre anni. Hanno un figlio, suoceri e suocere, cognati e
cognate, madri e padri e parenti fino all’ennesimo grado. Litigano per i motivi
più stupidi e, man mano, si stanno facendo sommergere dalla routine e dalla
noia. Riempiono la loro vita di cose inutili, fanno esattamente ciò che pensano
si debba fare in un matrimonio. Sono certi che sommando mediocrità si ottengano
cose eccezionali. Rispettano le regole e sono benpensanti. Fin qui tutto
normale.
Il fatto è che sono
affetti entrambi da una patologia dai contorni abbastanza oscuri. Si tratta di
un problematica certamente di ambito oculistico ma che, nel loro caso, ha
risvolti psicologici e famigliari.
Pur comunicando
normalmente tra di loro (e posso attestare che tutti e due sono in possesso di
ottime qualità psicofisiche) e' come se non si dicessero nulla. Infatti ognuno
appare come immerso nei suoi pensieri e, pur reagendo agli stimoli dell’altro,
lo fa in modo non pertinente. Come se ognuno guardasse in direzioni diverse.
Sono brave persone, certamente sono in buona fede e mi sembrano in difficoltà. Me la sono presa a
cuore e ho fatto lunghe ricerche tra i
libri che mi ha lasciato in eredità zio Peppino. A pagina trecentottantanove
del manuale di psicoftamologia credo di aver trovato la risposta. Non ho il
coraggio di dirlo loro e per questo mi affido a questo breve scritto.
La patologia
in questione è un comune strabismo di coppia.
© 2014 Gianfranco
Brevetto
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