C'est en écrivant qu'on devient écriveron (Raymond Queneau)

C'est en écrivant qu'on devient écriveron (Raymond Queneau)
"C'est en écrivant qu'on devient écriveron" (Raymond Queneau)

lunedì 17 novembre 2014

PSICOFTALMOLOGIA FAMIGLIARE





Sono un giovane oculista. In verità mi sono laureato già da qualche anno, ma è da poco che esercito realmente la professione. Ho dovuto attendere che morisse zio Peppino, anche lui oculista, per poterne ereditare studio e clienti.

Diciamo che di clienti, in questo passaggio, ne ho perso qualcheduno. Non si fidano molto di me e poi dicono che mio zio aveva esperienza. Insomma, era tutta un’altra cosa. Però alcuni mi sono rimasti, i pazienti sono abitudinari, non hanno voglia di cambiare. Poco importa se al posto di Peppino ci sia io. L’importante è che li visiti e che non dica cose molto esagerate. I pazienti vogliono sentirsi ammalati quel poco che basta. Personalmente credo che molti siano interessati a cronicizzare i malanni, convivere con loro, farseli amici. Non conviene né peggiorare né guarire. Meglio lamentarsi poco e spesso.

Tra i clienti che non hanno abbandonato lo studio vi è una coppia di sposi. Mi hanno detto che sono sposati da tre anni. Hanno un figlio, suoceri e suocere, cognati e cognate, madri e padri e parenti fino all’ennesimo grado. Litigano per i motivi più stupidi e, man mano, si stanno facendo sommergere dalla routine e dalla noia. Riempiono la loro vita di cose inutili, fanno esattamente ciò che pensano si debba fare in un matrimonio. Sono certi che sommando mediocrità si ottengano cose eccezionali. Rispettano le regole e sono benpensanti. Fin qui tutto normale.

Il fatto è che sono affetti entrambi da una patologia dai contorni abbastanza oscuri. Si tratta di un problematica certamente di ambito oculistico ma che, nel loro caso, ha risvolti psicologici e famigliari.

Pur comunicando normalmente tra di loro (e posso attestare che tutti e due sono in possesso di ottime qualità psicofisiche) e' come se non si dicessero nulla. Infatti ognuno appare come immerso nei suoi pensieri e, pur reagendo agli stimoli dell’altro, lo fa in modo non pertinente. Come se ognuno guardasse in direzioni diverse.

Sono brave persone, certamente sono in buona fede e mi sembrano in difficoltà. Me la sono presa a cuore  e ho fatto lunghe ricerche tra i libri che mi ha lasciato in eredità zio Peppino. A pagina trecentottantanove del manuale di psicoftamologia credo di aver trovato la risposta. Non ho il coraggio di dirlo loro e per questo mi affido a questo breve scritto.
La patologia in questione è un comune strabismo di coppia.


© 2014 Gianfranco Brevetto



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