C'est en écrivant qu'on devient écriveron (Raymond Queneau)

C'est en écrivant qu'on devient écriveron (Raymond Queneau)
"C'est en écrivant qu'on devient écriveron" (Raymond Queneau)

sabato 4 marzo 2023

Il Bibliofago


di Gianfranco Brevetto

Dopo circa due ore che contemplavo, alla dovuta distanza, gli scaffali disordinati della libreria che mi si parava di fronte, presi la decisione che ritenevo più opportuna e necessaria.

Mi credevo abbastanza maturo per portarla a termine. A quell’età non potevo essere certamente rimproverato o criticato, biasimato, ingiuriato, preso in giro, ritenuto folle. 

Se si è maturi, lo si è per tutto.

Si trattava solo di scegliere da dove iniziare. Senza dubbio dalle pietanze più leggere, e dal gusto più delicato, per evitare di coprire, successivamente,
 altri sapori .

Iniziai quindi da un libro di qualche anno fa, con pagine ingiallite e porose. Copertina rigida, che avrei scartato da subito, e rilegatura con filo, che me lo facevano sentire simile ad un involtino, ricordo della mia infanzia.

Ne assaggiai un angolino, una pagina già consumata che credevo sarebbe stata più digeribile, e non mi fermai fin quando non la mangiai tutta (avevo iniziato da pagina 88 che secondo me doveva essere tra quelle centrali, le più saporite).

Ricordai che una volta, un bambino, di nome Michelino aveva immerso nel latte un libro cartonato con dei dinosauri. Poi lo aveva addentato, era visibile sulla rigida copertina colorata l’impronta indelebile dei suoi nuovissimi incisivi. 

Avevo, quindi, deciso che, quei libri davanti a me, li avrei mangiati uno alla volta fino a farli scomparire tutti nel mio stomaco e nel mio intestino. Erano tanti, calcolai che l’impresa sarebbe durata diversi anni. Non avevo fretta, i libri vanno digeriti con calma e con il dovuto rispetto.

Quel pomeriggio, in cui tutto ebbe inizio, per  poterne valutare anche l’effetto sul mio apparato digerente , ne consumai con una certa voracità quasi cinque pagine. Poteva bastare. Bevvi un paio di bicchieri d’acqua, riempiti quasi all’orlo, e attesi.

La notte passò tranquilla, piccoli brontolii mi segnalavano forse le parole più difficili da mandare giù. Le virgole, e in generale tutta la punteggiatura, si evidenziarono in un alternarsi di singhiozzi, le parentesi e i i nuovi paragrafi si risolsero in leggere apnee notturne.

Fin qui nulla di anormale. Pensavo che la mia dieta avrebbe potuto reggere nel tempo. La bibliofagia, credevo in perfetta buona fede, avrebbe potuto anche risolvere, almeno in parte, la fame del mondo. La mia certamente.

In fondo cosa ne avrei potuto fare di quei libri accumulatisi negli anni? Chi li avrebbe più letti? Chi avrebbe compreso il senso e la sequenza con la quale erano stati ricercati ed acquistati? 

Non esprimevano, ora, più nulla. Certo non l’ansia dell’attesa dopo averli ordinati nelle più svariate librerie. Non di certo le questioni che attendevo potessero risolvere, le domande espresse durante la lettura, le risposte date e quelle che si erano inutilmente accalcate tra le loro pagine. 

La cosa che più mi sconvolgeva é che non ne avevo, nella disposizione sugli scaffali, conservato la cronologia con la quale li avevo acquistati. Non la ricordavo neanche io. Sì qualcosa, adesso che li avevo lì davanti, potevo intuirla. Ma perché li avessi acquistati con quella determinata sequenza, quali pensieri e riflessioni mi avevano condotto dalle pagine di uno alle pagine dell’altro, erano ricordi che non avrei più recuperato. Non era più possibile ricostruire quasi mezzo secolo di tracce e concatenazioni.

Tanto valeva mangiarli.

Col passare dei giorni, dei mesi, degli anni, ne avevo gustati di tutti i tipi, avevo anche segretamente organizzato una dieta che mi consentisse di variarne il formato e la rilegatura. Li addentavo tutti esclusivamente crudi e senza condimento.

Tutto procedeva nel migliore dei modi possibili.

Ero soddisfatto di quello che stavo facendo fino a quando, un giorno, non mi imbattei in un mio quaderno, scritto quando ero bambino. Un ricordo senza valore letterario.

Lo sfogliai e lo riguardai più volte, era unico. Lo rilessi perché sicuramente, dopo, non avrei più avuto modo di tenerlo tra le mani. Provavo nei confronti di questo testo insieme desiderio e disgusto.

Lo accarezzai, cercando d’individuare dove poterlo addentare. Di fronte alla libreria oramai quasi vuota, che mi mostrava le venature di legno e la polvere negli anni incrostata, mi chiedevo se fosse lecito questo atto di cannibalismo, se poteva ritenersi umano nutrirsi delle proprie parole, delle prime parole scritte, dell’inizio inconsapevole di tutto quello che sarebbe accaduto dopo.

Mi chiesi anche quale fine avevano fatto, nel tempo, le tantissime frasi che avevo scritto nella mia vita. Dai quaderni delle elementari fino ad quel momento.

Doveva trattarsi un grandioso, vasto e inutile deposito che ora, io inerme, mi opprimeva. 

La mia stessa scrittura mi aveva sepolto sotto uno strato invisibile e non più recuperabile. Guardando quel libricino la fame mi era passata. Mi addormentai presto quella sera.

Dopo tanti anni sono ancora lì, con una libreria vuota e quel quaderno, composto da scrittura traballante e sgraziata, stretto tra le mani. 


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