C'est en écrivant qu'on devient écriveron (Raymond Queneau)

C'est en écrivant qu'on devient écriveron (Raymond Queneau)
"C'est en écrivant qu'on devient écriveron" (Raymond Queneau)

sabato 23 dicembre 2023

Omoteleuti

 


Giovanni abita poco distante da casa mia. Ci fermiamo spesso a bere un caffè insieme, così ci lasciamo andare a qualche confessione. Tra conoscenti si può, anzi è preferibile per poi divenire amici. E noi ci stiamo impegnando, sappiamo che prima o poi ce la faremo. 

Anzi negli ultimi tempi abbiamo, di comune accordo, pensato d’intensificare questi incontri proprio per arrivare al più presto a questo traguardo.

Un problema, però, si è naturalmente posto sin dai primi giorni:  quando ci saremmo potuti definire dei veri amici? 

Dopo ampia e articolata discussione, sempre di comune accordo, stabilimmo che dopo cento caffè, e dopo altrettante chiacchierate, si sarebbe materializzato, tra noi, questo nuovo status.

Vedendosi ogni giorno, nel giro di tre mesi o poco più, avremmo raggiunto l’obbiettivo. 

Per i primi tempi tutto andò bene e facilmente arrivammo a quota venticinque incontri. Poi fui colto da una forma perniciosa di influenza sicché saltammo una settimana. Dopodiché ci vedemmo altre cinque volte e a lui venne il mal di schiena. Un’altra settimana di fermo.

Sarà stato a causa di queste pause non programmate ma, tra noi, inizio a serpeggiare un sentimento di stanchezza. Arrivavamo in ritardo agli appuntamenti (che duravano sempre meno) e svogliatamente parlavamo del più e del meno, guardando fissi lo schermo del cellulare.

Comunque eravamo bene determinati a non rinunciare al nostro  proposito per potersi finalmente dire amici. Quello era il nostro obiettivo e ci saremmo arrivati a tutti i costi.

Dopo un breve conciliabolo e qualche accesa reciproca recriminazione ( che non si conciliava affatto  con i nostri propositi di amicizia) venne fuori un’idea preziosa e singolare. Per raggiungere il nostro fine ci saremmo fatti sostituire. 

Sì proprio così, due sosia avrebbero continuato, al posto nostro, questi incontri alla caffeina. Deciso. E così fu. 

Senonché arrivati verso i sessanta rendez-vous anche i sosia furono stufi e cercarono, a loro volta, due sostituti. Questi ultimi, però, arrivarono fino a ottantacinque incontri quando, sfiniti, lasciarono l’onere ad altri, che arrivarono a novantacinque prima di affidare, ad altri due simili, l’onore di arrivare, faticosamente, a cento. 

Era passato un anno e mezzo dal nostro primo incontro. Malattie,     impegni imprevisti e difficoltà a trovare le sostituzioni avevano, infatti,  richiesto  molto molto tempo.

Una telefonata anonima alle sei del pomeriggio mi avvisò del raggiungimento dell’agognato obiettivo.  A Giovanni, che intanto aveva perso il mio numero di cellulare, lo avvisarono, l’indomani, i proprietari del bar.

Non vi sto a raccontare altri particolari, vi basti sapere che ci fu chiesto, infine, di saldare il conto delle consumazioni. 

Da quel momento non ho più rivisto nessuno.



©2023 Gianfranco Brevetto

mercoledì 8 novembre 2023

Adamo, Eva e il succo (biologico, non filtrato) alla mela





Lo sapevo. Lo sapevo e non poteva andare altrimenti. Gli elementi c’erano tutti: un uomo, una donna e un frutto. Biologico, non filtrato ( particolare da tenere a mente). 

Ma, è chiaro, tutto questo non può bastare in una sana e robusta mitologia: poteva essere il paradiso, invece tutto crollò.

Ma veniamo all’accaduto ( che si è svolto pochi giorni fa, non ricordo bene se un venerdì o un sabato, poco importa). I protagonisti sono due miei amici, tra i più cari. Lui ha avuto in sorte il nome di Adamo e, la stessa sorte o una similare, ha permesso ( o concesso) che andasse in sposo a una gentile signora di nome Eva. 

Cosa c’è di strano? Nulla, una singolare coincidenza. Le coincidenze si dicono sempre singolari, un giorno (venerdì o sabato non si sa) tratteremo delle coincidenze plurali (un bel dire, le coincidenze sono sempre impegnative indipendentemente dal numero). E poi, le mitologie sono coincidenze create ad arte. Un artefatto insomma. 

Nel caso in questione, la coincidenza fu del tutto naturale, nessuno la raccontò,  si raccontò da sé. 

I miti e gli artefatti, a volte, non se li fila nessuno.

E si sa, le cose che si raccontano da sole vanno da sé e, spesso, nessuno le ferma più. E son dolori. 

In questa storia, che brevemente vi sto per riassumere, tutto poteva concludersi bene. 

Invece no.  

Se la trama dipendesse da me, vi assicuro che l’avrei fatta concludere in modo diverso. Le storie vanno da sé, si diceva.

Allora questi due amici, Adamo ed Eva, assetati, in un giorno d’estate, acquistarono un succo (biologico, non filtrato) alla mela. 

E allora ve la siete voluta! Avete provocato! Diranno i più. 

Premetto che il serpente non compare in questa vicenda, non era poi necessario. Se questa storia fosse un artefatto ci sarebbero tutti gli ingredienti. Alcuni necessari, altri sufficienti ad allungare il brodo. 

Nel racconto che si autogenera alcuni elementi non ci sono ( chi legge se ne faccia una ragione o si rivolga ad un editor ad hoc). 

Ma un castigo ci fu, quello sì anche senza tentazione e senza peccato alcuno (vi assicuro che Adamo ed Eva sono due bravissime persone).

La verità è che se una storia va da sé, farà un pò come vuole. Rex in regno suo est imperator.

Cosicché la storia volle raccontarsi a modo suo, ma senza molta fantasia. Approfittò della salute malferma dei due. Perfide le storie, quando ci si mettono d’impegno.

E, se non ci fosse stata una colite preesistente e conclamata di cui non tennero conto all’atto dell’acquisto del succo di mela, il nostro pomeriggio d’estate, per Adamo ed Eva, sarebbe passato inosservato e dimenticato. 

Così non fu, pur senza colpa alcuna. 

Vi assicuro che ora stanno meglio. 

Così è stato.




Gianfranco Brevetto   2023

domenica 29 ottobre 2023

Ore illegali e ore insolari




Devo confessare che, da qualche anno a questa parte, approfitto del cambiamento dell’ora, non importa se legale o  solare, per, in qualche modo, barare. Un piccolo peccato veniale.

E così, in luogo di mettere, semestralmente, avanti e intero le lancette dell’orologio, fingo di confondermi e le piazzo decisamente sempre sessanta minuti  in avanti.

Ero stufo di questo andirivieni semestrale deciso per legge, preferisco da solo avvantaggiarmi col tempo, a costo di qualche ora di sonno mancante e qualche pranzo notturno. 

Poco male, perché ogni ventiquattro anni mi rimetto in pari pur con un giorno d’anticipo su una parte dell’umanità.

Sicché, cari amici, considerando il tempo trascorso in questo finimento truffaldino, ora viaggio  senza tema nel futuro prossimo.

Poco di più con due giorni e mi auguro, a Dio piacendo, di poter guadagnare ancora qualche oretta di anticipo. 

Ogni 12 anni cambio lavoro e prediligo quelli notturni, cosicché mi è stato più facile adeguarmi alla mia ostinata e irrevocabile decisione. Ne vado fiero.

Va da sé, considerando le esigenze di trama di questa breve storiella, che stanotte ho perduto il mio orologio, in verità in un primo momento credevo di aver sognato il verificarsi di una tale iattura.

E, invece, quella grave perdita era tutt’altro che onirica. Ricordavo, ne ero certo, di averlo appoggiato sul comò, sul tinello, magari sulla madia o su di un altro mobile dal nome desueto. 

Ricordavo anche che avrei dovuto spostare in avanti le lancette, ma non ricordavo, senza il mio caro assistente, in che giorno e a che ora fossi. Per quanto sforzi facessi, questa assenza aveva reso vano ogni mio sforzo di vivere in anticipo con grandi sacrifici e menzogne personali.

La prima cosa che feci, allora, guardai l’orologio posti sul campanile. Fu un grave errore perché ripiombai in quella realtà che avevo creduto di abbandonare nel corso di tutta la mia esistenza. Ero come un ciclista in fuga che, repentinamente, viene raggiunto dal gruppo dei suoi compagni di corsa.

Usci in strada per vedere cosa stesse accadendo agli altri in quell’ora e in quel giorno per me insolito. Dopo aver girovagato per un pò, sentii una mano poggiarsi sulla mia spalla.


-Guardi che a me è acceduta la stessa cosa - mi ha detto un signore molto più anziano di me.

- Ma di cosa parla? non capisco - gli risposi

- Non faccia lo gnorri, ho perso anche io recentemente un orologio illegale e insolare. Ma, a differenza di lei, l’avevo messo non una ma sei ore avanti, mi ricordo bene quando l’ho superata velocemente più volte.

- Bravo! Ha barato!

- Come del resto lei! Esistono persone con orologi avanti di 12 ore che sono avanti di settimane. Ma anche chi regola le lancette indietro di anni per arrivare velocemente al medioevo. Lei ha solo scoperto recentemente questo giochetto e forse non riesce a a capire quali sono le conseguenze…

- Io credevo di essere il solo…

- Invece no! Osservi bene queste persone, ognuno ha il suo tempo, tutti con il proprio orologio taroccato in tasca… 

- Dice davvero?

- Ognuno vive in un suo tempo che crede essere reale, ma di realtà c’è solo  un tempo fasullo fatto di tanti orologi regolati a piacere. Lei è semplicemente un falsario come tanti…

- Ma come si permette? Chi è lei?

- Ah, ecco non mi ha riconosciuto… avrei dovuto immaginarlo, io sono un semplice ladro di orologi, mi nutro delle vostre falsità. Alcuni mi chiamano ansia, ma non hanno capito nulla di me.



 Gianfranco Brevetto 2023

sabato 4 marzo 2023

Il Bibliofago


di Gianfranco Brevetto

Dopo circa due ore che contemplavo, alla dovuta distanza, gli scaffali disordinati della libreria che mi si parava di fronte, presi la decisione che ritenevo più opportuna e necessaria.

Mi credevo abbastanza maturo per portarla a termine. A quell’età non potevo essere certamente rimproverato o criticato, biasimato, ingiuriato, preso in giro, ritenuto folle. 

Se si è maturi, lo si è per tutto.

Si trattava solo di scegliere da dove iniziare. Senza dubbio dalle pietanze più leggere, e dal gusto più delicato, per evitare di coprire, successivamente,
 altri sapori .

Iniziai quindi da un libro di qualche anno fa, con pagine ingiallite e porose. Copertina rigida, che avrei scartato da subito, e rilegatura con filo, che me lo facevano sentire simile ad un involtino, ricordo della mia infanzia.

Ne assaggiai un angolino, una pagina già consumata che credevo sarebbe stata più digeribile, e non mi fermai fin quando non la mangiai tutta (avevo iniziato da pagina 88 che secondo me doveva essere tra quelle centrali, le più saporite).

Ricordai che una volta, un bambino, di nome Michelino aveva immerso nel latte un libro cartonato con dei dinosauri. Poi lo aveva addentato, era visibile sulla rigida copertina colorata l’impronta indelebile dei suoi nuovissimi incisivi. 

Avevo, quindi, deciso che, quei libri davanti a me, li avrei mangiati uno alla volta fino a farli scomparire tutti nel mio stomaco e nel mio intestino. Erano tanti, calcolai che l’impresa sarebbe durata diversi anni. Non avevo fretta, i libri vanno digeriti con calma e con il dovuto rispetto.

Quel pomeriggio, in cui tutto ebbe inizio, per  poterne valutare anche l’effetto sul mio apparato digerente , ne consumai con una certa voracità quasi cinque pagine. Poteva bastare. Bevvi un paio di bicchieri d’acqua, riempiti quasi all’orlo, e attesi.

La notte passò tranquilla, piccoli brontolii mi segnalavano forse le parole più difficili da mandare giù. Le virgole, e in generale tutta la punteggiatura, si evidenziarono in un alternarsi di singhiozzi, le parentesi e i i nuovi paragrafi si risolsero in leggere apnee notturne.

Fin qui nulla di anormale. Pensavo che la mia dieta avrebbe potuto reggere nel tempo. La bibliofagia, credevo in perfetta buona fede, avrebbe potuto anche risolvere, almeno in parte, la fame del mondo. La mia certamente.

In fondo cosa ne avrei potuto fare di quei libri accumulatisi negli anni? Chi li avrebbe più letti? Chi avrebbe compreso il senso e la sequenza con la quale erano stati ricercati ed acquistati? 

Non esprimevano, ora, più nulla. Certo non l’ansia dell’attesa dopo averli ordinati nelle più svariate librerie. Non di certo le questioni che attendevo potessero risolvere, le domande espresse durante la lettura, le risposte date e quelle che si erano inutilmente accalcate tra le loro pagine. 

La cosa che più mi sconvolgeva é che non ne avevo, nella disposizione sugli scaffali, conservato la cronologia con la quale li avevo acquistati. Non la ricordavo neanche io. Sì qualcosa, adesso che li avevo lì davanti, potevo intuirla. Ma perché li avessi acquistati con quella determinata sequenza, quali pensieri e riflessioni mi avevano condotto dalle pagine di uno alle pagine dell’altro, erano ricordi che non avrei più recuperato. Non era più possibile ricostruire quasi mezzo secolo di tracce e concatenazioni.

Tanto valeva mangiarli.

Col passare dei giorni, dei mesi, degli anni, ne avevo gustati di tutti i tipi, avevo anche segretamente organizzato una dieta che mi consentisse di variarne il formato e la rilegatura. Li addentavo tutti esclusivamente crudi e senza condimento.

Tutto procedeva nel migliore dei modi possibili.

Ero soddisfatto di quello che stavo facendo fino a quando, un giorno, non mi imbattei in un mio quaderno, scritto quando ero bambino. Un ricordo senza valore letterario.

Lo sfogliai e lo riguardai più volte, era unico. Lo rilessi perché sicuramente, dopo, non avrei più avuto modo di tenerlo tra le mani. Provavo nei confronti di questo testo insieme desiderio e disgusto.

Lo accarezzai, cercando d’individuare dove poterlo addentare. Di fronte alla libreria oramai quasi vuota, che mi mostrava le venature di legno e la polvere negli anni incrostata, mi chiedevo se fosse lecito questo atto di cannibalismo, se poteva ritenersi umano nutrirsi delle proprie parole, delle prime parole scritte, dell’inizio inconsapevole di tutto quello che sarebbe accaduto dopo.

Mi chiesi anche quale fine avevano fatto, nel tempo, le tantissime frasi che avevo scritto nella mia vita. Dai quaderni delle elementari fino ad quel momento.

Doveva trattarsi un grandioso, vasto e inutile deposito che ora, io inerme, mi opprimeva. 

La mia stessa scrittura mi aveva sepolto sotto uno strato invisibile e non più recuperabile. Guardando quel libricino la fame mi era passata. Mi addormentai presto quella sera.

Dopo tanti anni sono ancora lì, con una libreria vuota e quel quaderno, composto da scrittura traballante e sgraziata, stretto tra le mani. 


© 2023