Chère imagination, ce
que j’aime surtout en toi, c’est que tu ne pardonnes pas.
Manifeste du Surréalisme
Dormo poco. Faccio anche
fatica a riaddormentarmi se per qualsiasi motivo mi sveglio. Do la
colpa ai sogni. Loro, non sanno cosa vuol dire dormire solo qualche
ora. Il sogno, non sa cosa vuol dire essere sveglio. E così si
diverte. Si gongola nella sua libertà temporale e morale. Infatti,
non credo che il sogno si ponga il problema di esser dispettoso.
Credo, però, che in fondo i sogni ce l'abbiamo un po' con noi, per
non aver dato loro molto spazio. Ma di questo non mi sembra il caso
di parlarne qui e ora.
Ieri sera, però, ho
voluto cambiare tattica e, dopo aver bevuto la quotidiana quanto
inutile tisana alle erbe che promettono miracoli, sono andato a letto
ben intenzionato ad addormentarmi il più presto possibile. E così è
stato.
Nell'annebbiamento e al
rilassamento misto a impotenza, tipico dello stato notturno non
cosciente, mi ero messo in attesa. Attendevo di sognare, o meglio,
attendevo d'incontrare un sogno.
Quando la mia attività
cerebrale, che evidentemente non potevo controllare, me lo ha
permesso, il sogno è arrivato. Dico è arrivato perché quando si
dorme non si ha l'esatta percezione dove uno sia e dove siano le
altre cose. Se di cose si può parlare. Perciò il sogno mi si è
presentato all' improvviso, come quando si entra in un banco di nebbia. A
questo punto, di solito, si resta intrappolati in una storia che il
sogno c'impone e della quale, spesso, si può anche fare a meno. Almeno
quando ci si riflette al risveglio.
Ma questa volta, era
grande in me la voglia di non farmi coinvolgere. Per farmi coraggio
pensai intensamente alla storia di Ulisse con le sirene. All'inizio,
il sogno ce la mise tutta e cercò di confondermi con immagini e
persone che più o meno somigliavano a quelle della vita reale. Giocò
con i sentimenti, con i desideri che non avevo mai voluto confessare.
Ma senza riuscirci. Ero determinato a restarne fuori. Tra gli aspetti
positivi dell'insonnia c'è anche il poter restare presenti a se stessi
quando si dorme.
Per farla breve, una
volta entrato in questa sottilissima nebbiolina, il sogno si è
subito accorto che qualcosa non andava. Restava in dubbio sul da
farsi. Fu in quel momento che misi in pratica il mio piano ed
iniziai a parlargli.
Ovviamente il sogno non
poteva rispondermi. Cercò di farlo, ma il significato di quello che
diceva era talmente ingarbugliato e contorto, che nemmeno un terno
secco mi avrebbe permesso di decifrarlo. Mi parve, però, di capire che si trattava di un personaggio molto capriccioso che, abituato a
fare un po' come gli pare, non accettava di esser emesso in
discussione. Certamente un tipo autoreferenziale. I latini l'avevano
capito. Per loro, l'azione di sognare non si distaccava mai dal suo
complemento oggetto.
Approfittando di questa
incertezza ho così iniziato a raccontare, al sogno, la mia vita.
Nulla di particolare, gli ho solo detto della mia giornata, di quello
che faccio, le persone che incontro, cosa mangio. Insomma, quello che
faccio in sua assenza.
Mi
sembrava che lui fosse interessato, per il sogno era come scoprire un
mondo nuovo, mai visto. Forse in questo modo, pensavo, avrei potuto
creare un contatto con lui, farmelo amico, ed evitare le lunghe ore di
veglia notturne.
La nebbia cominciò ad
infittirsi, segno che lui si stava rilassando. Continuavo a parlare,
descrivevo nei minimi particolari come si lavano i piatti o come
funziona il microonde.
All'inizio lui tentò di
ribellarsi cercando di confondere i differenti piani e la trama del mio
racconto. Poi, poco a poco, tutto divenne bianco intorno a me. In quel
mondo confuso si fece silenzio, non c'erano più immagini, desideri,
sentimenti o ansie. Tutto era calmo.
Il sogno si era
addormentato. Ed io con lui.
©
2013 Gianfranco Brevetto